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Negli ultimi anni, robot umanoidi come Figure 01 (Figure AI), Tesla Optimus e Walker S (dei nostri amici di UBTECH) ci hanno stupito con capacità sempre più avanzate in intelligenza artificiale (IA), mobilità e manipolazione (MIT Technology Review, 2025).
I video virali e gli annunci spettacolari alimentano anche una certa ansia collettiva (“i robot ci ruberanno il lavoro!”) e la convinzione che l’automazione robotica sia ormai dietro l’angolo (European Parliament Research Service, 2020).
Ma qual è la realtà dietro tutto questo “hype”? La realtà è che siamo ancora nella fase prototipale (OpenAI, n.d.; DeepMind, n.d.).
I progressi fatti nella robotica umanoide e nell’intelligenza artificiale embodied sono straordinari, ma siamo ancora lontani da una piena autonomia. Le dimostrazioni attuali sono spesso pre-programmate (MIT Technology Review, 2022; Science Robotics, n.d.), e non rappresentano una reale capacità dei robot di adattarsi in tempo reale a contesti complessi e dinamici. Secondo IEEE Spectrum (n.d.), il principale ostacolo è la mancanza di una “percezione situazionale profonda”, ovvero la capacità di un robot di capire ciò che accade intorno a sé e reagire con movimenti corretti e contestualmente appropriati.
Cosa possono fare (e cosa no) i robot umanoidi?
I robot umanoidi eccellono in attività ripetitive in catene di montaggio e magazzini (International Federation of Robotics, 2023), in ambienti fisicamente impegnativi o pericolosi per l’uomo (Boston Consulting Group, 2019) e nell’analizzare dati su larga scala (Harvard Business Review, 2021).
Ma le sfide non mancano: i costi elevati e la manutenzione complessa (Boston Consulting Group, 2019), le difficoltà di adattamento a contesti non strutturati (MIT Technology Review, 2022) e la necessità costante di supervisione umana per garantire affidabilità e sicurezza (Eurofound, 2024).
I nostri lavori sono davvero a rischio?
Dipende. Alcuni settori come edilizia, logistica e agricoltura potrebbero automatizzare fino al 75% delle mansioni (European Commission, 2021; European Parliament Research Service, 2020).
Tuttavia, la storia delle rivoluzioni tecnologiche racconta un’altra storia. Ogni grande innovazione ha cancellato alcuni lavori, ma ne ha creati di nuovi. L’avvento di Internet, ad esempio, ha portato alla nascita di settori come digital marketing, e-commerce, UX design, data analysis e cybersecurity, per citarne alcuni.
Già dal 2017, due studi del McKinsey Global Institute, “Harnessing automation for a future that works” e “Jobs lost, jobs gained: Workforce transitions in a time of automation” suggerivano che i cambiamenti porteranno a profonde transizioni nella forza lavoro, ma anche nuove opportunità, mentre uno studio di Deloitte, “From the machines: the role of automation in employment” (come citato in European Parliament Research Service, 2020) dimostrava come nel Regno Unito l’automazione avesse creato più posti di lavoro di quanti ne avesse eliminati, specie in ruoli ad alto valore aggiunto.
Collaborazione uomo-macchina: perché non è (solo) una scelta
In Europa, l’invecchiamento demografico è una sfida concreta: entro il 2050, gli over 65 aumenteranno del 30-40%, riducendo drasticamente la forza lavoro disponibile (LavoroDirittiEuropa.it, 2025). In questo scenario, l’automazione non è una minaccia: è una risorsa necessaria (International Labour Organization, 2022).
Inoltre, secondo Slack Technologies (2023), il 77% dei lavoratori ritiene che automatizzare le attività ripetitive migliorerebbe la qualità della loro vita lavorativa. Le tecnologie IA possono aumentare la produttività fino al 90%, supportando anche i settori in maggiore difficoltà, come sanità e trasporti (LogisticaNews.it, 2025; Harvard Business Review, 2021).
Non una sostituzione, ma una trasformazione
Secondo il World Economic Forum (2020), l’adozione delle tecnologie emergenti porterà alla nascita di oltre 97 milioni di nuovi ruoli nei prossimi anni. L’obiettivo, pertanto, non è eliminare il lavoro umano, ma trasformarlo, liberandoci da compiti noiosi o faticosi e restituendoci tempo per attività di valore e per sviluppare ulteriormente pensiero critico, empatia, creatività e comunicazione (Eurofound, 2024; McKinsey Global Institute, 2017).
Ma non è tutto oro quel che luccica…
Parallelamente, non possiamo, in tutta trasparenza, ignorare le questioni morali ed etiche legate all’adozione diffusa di IA e robotica. Chi è responsabile delle azioni di un robot? Come evitare pregiudizi nei dati che influenzano i processi decisionali automatici?
Secondo Stanford University (n.d.) e Nature (n.d.), la trasparenza algoritmica e la governance etica sono tra le priorità più urgenti, in particolare per evitare “black box” decisionali incomprensibili anche per gli sviluppatori. L’ILO (2022), invece, sottolinea che la regolamentazione dovrà tutelare i lavoratori vulnerabili e garantire un impatto sociale sostenibile.
Persistono inoltre domande legate a discriminazione involontaria (MIT Media Lab, n.d.), sorveglianza di massa e uso improprio dell’IA da parte di governi o aziende (Electronic Frontier Foundation, n.d.), perdita di agency umana nel processo decisionale - ad esempio nella giustizia o nella sanità - e concentrazione del potere tecnologico in poche mani (UNESCO, 2021).
Queste problematiche non sono fantascienza, ma realtà concrete che richiedono trasparenza, regolamentazione e un dibattito pubblico costante.
Conclusione: il futuro del lavoro è una co-evoluzione
L’automazione intelligente e la robotica non rappresentano una minaccia in sé, ma uno strumento per affrontare sfide strutturali. l futuro del lavoro non sarà dominato dai robot. Sarà costruito con loro - da noi.
BIBLIOGRAFIA
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DeepMind. (n.d.). Advances and limitations in AI robotics.
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https://www.weforum.org/reports/the-future-of-jobs-report-2020